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L’osteoporosi provoca dolore: i sintomi

Il dolore osseo è una realtà dolorosa che affligge molti individui anziani, rappresentando un grave ostacolo alla qualità della vita e alla funzionalità quotidiana. Attraverso uno studio condotto su un vasto campione di 46.000 persone in Europa, si è scoperto che ben il 19% degli adulti europei soffre di dolore cronico, con una percentuale ancor più elevata, pari al 26%, registrata in Italia. 

Sebbene l’artrosi sia una delle cause principali di questo dolore, un numero significativo di persone ha identificato l’osteoporosi come la fonte del proprio disagio. Si stima che circa il 30% delle donne di età superiore ai 65 anni sia affetto da osteoporosi, un disturbo metabolico che non solo porta a una diminuzione della densità ossea, ma anche a un aumento del rischio di fratture vertebrali, osteomalacia e morbo di Paget.

Secondo l’International Association for the Study of Pain (IASP), il dolore cronico è definito come “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a danno tissutale reale o potenziale, o descritta in termini di tale danno”. Questa esperienza è resa ancora più complessa dalla “sensibilizzazione centrale”, un fenomeno in cui i neuroni nocicettivi diventano iperattivi, amplificando così la percezione del dolore e contribuendo alla sua cronicizzazione.

I meccanismi alla base del dolore legato all’osteoporosi sono ancora in gran parte sconosciuti, ma studi recenti hanno evidenziato un iper-rimodellamento dell’osso come una delle principali cause. Questo processo coinvolge gli osteoclasti e può portare a una modificazione dell’innervazione ossea. Sebbene di per sè l’osteoporosi non vede sintomi specifici dolorosi, molte persone lamentano un dolore profondo, sordo, orizzontale nella bassa schiena.Trattamenti mirati a inibire questo rimodellamento osseo hanno dimostrato di avere un effetto positivo sul dolore associato all’osteoporosi.

Gestione del dolore osseo: sfida e soluzioni

Affrontare il dolore osseo rappresenta una sfida ricorrente per i professionisti medici, soprattutto nell’ambito della popolazione anziana. Questa condizione può avere un impatto significativo sulla capacità funzionale e sulla qualità della vita dei pazienti.

Il dolore cronico grave colpisce una percentuale considerevole della popolazione europea, con una prevalenza del 26% in Italia. Sebbene l’osteoartrosi sia comunemente associata al dolore osseo cronico, la maggior parte dei pazienti affetti da questa condizione soffre in realtà di disturbi metabolici come l’osteoporosi.

Le fratture osteoporotiche, soprattutto a livello dell’anca, causano disabilità significative che influenzano le attività della vita quotidiana e aumentano il ricorso a strutture di cura e riabilitazione.

Il dolore osseo intenso causato dall’osteoporosi, se non adeguatamente trattato, può portare rapidamente alla sensibilizzazione centrale, contribuendo così alla cronicizzazione del dolore.

La gestione efficace del dolore osseo richiede un approccio completo che includa strategie di trattamento mirate e un’attenta valutazione delle esigenze individuali dei pazienti.

L’osso, un tempo considerato privo di innervazione, è ora riconosciuto come un tessuto ampiamente sensibile agli stimoli nervosi. Le fibre nervose sensoriali, presenti nel periostio, nell’osso mineralizzato e nel midollo, giocano un ruolo fondamentale nella percezione del dolore osseo. Queste fibre esprimono recettori sensibili al fattore di crescita nervoso (NGF), il cui ruolo nella generazione e nel mantenimento del dolore è stato ampiamente studiato.

Inoltre, l’attivazione degli osteoclasti, cellule coinvolte nel riassorbimento osseo, sembra giocare un ruolo cruciale nel processo di generazione del dolore associato all’osteoporosi. Queste cellule, mediante la secrezione di protoni, creano microambienti acidi che possono attivare i recettori sensibili all’acido, contribuendo così all’insorgenza del dolore infiammatorio.

La cronicizzazione del dolore osseo è un fenomeno complesso che coinvolge diversi meccanismi, tra cui la sensibilizzazione centrale. Questo processo porta a un aumento dell’eccitabilità neuronale e a cambiamenti nell’attività cerebrale che amplificano la percezione del dolore nel tempo.

Comprendere i meccanismi alla base di questo dolore è fondamentale per sviluppare strategie efficaci per il suo trattamento e migliorare così la qualità della vita dei pazienti affetti da questa patologia.

Aspetti clinici dell’osteoporosi e il dolore associato

L’osteoporosi è una condizione subdola, spesso priva di sintomi evidenti per lunghi periodi di tempo, guadagnandosi l’appellativo di “ladra silenziosa” poiché sottrae calcio dalle ossa per anni, manifestandosi solo quando le fratture patologiche causano dolore acuto.

Il dolore osseo cronico, derivante dai meccanismi sopra descritti, presenta sintomi che possono rendere difficile la diagnosi differenziale rispetto ad altre fonti di dolore, come articolazioni o muscoli.

Le fratture vertebrali da compressione rappresentano la manifestazione dolorosa più comune dell’osteoporosi, soprattutto nel tratto toracolombare. Queste fratture possono avere un’esordio graduale, causando solo lievi dolori lombari o improvvisi e intensi dolori nella parte bassa della schiena, rendendo difficili i movimenti.

Con il passare del tempo, le fratture multiple possono portare a una progressiva perdita di altezza e a una contrazione continua della muscolatura paravertebrale per mantenere la postura, causando affaticamento muscolare e dolore persistente anche dopo la guarigione delle fratture iniziali.

Altre complicazioni delle fratture vertebrali includono costipazione, inattività prolungata, perdita di indipendenza e alterazioni della postura che possono causare ulteriore dolore e peggioramento della qualità della vita del paziente.

Le fratture dolorose sono anche comuni all’anca e al ginocchio, con potenziali conseguenze di dolore cronico e disabilità. Anche dopo interventi chirurgici come l’artroplastica, il dolore persistente può verificarsi, influenzato da vari fattori preoperatori e postoperatori.

Prevenzione e trattamento

Una prevenzione adeguata e una terapia antalgica sono fondamentali per migliorare la qualità della vita dei pazienti con osteoporosi, riducendo le conseguenze sociali ed economiche della malattia.

L’esercizio fisico è ampiamente riconosciuto come parte integrante della prevenzione del dolore osteo-articolare cronico, con evidenze solide che ne dimostrano l’efficacia nella patogenesi dell’osteoporosi.

Tra i farmaci più utilizzati per l’osteoporosi ci sono i bifosfonati e altri farmaci che agiscono sull’attività degli osteoclasti per prevenire e ridurre il dolore. Nei casi di dolore grave e persistente, l’uso di oppioidi deboli e forti è essenziale, soprattutto considerando l’interazione positiva tra oppioidi e tessuti infiammati, che può portare a un’inibizione significativa del dolore.

Tuttavia, è importante considerare il rischio associato all’uso di oppioidi, specialmente nelle persone anziane, in quanto possono aumentare il rischio di fratture, come evidenziato dalla revisione della cartella clinica.

Meccanismi periferici del dolore osseo: svelando il ruolo del sistema nervoso

L’osso, da tempo considerato un tessuto inerte, è in realtà ampiamente innervato, e questa innervazione gioca un ruolo fondamentale nella regolazione di processi fisiologici come il flusso sanguigno locale e il rimodellamento osseo. Nello scheletro adulto, le fibre nervose sensoriali abbondano, portando ad una densa rete di segnalazione neuronale.

Mentre la massa e la forza ossea possono diminuire con l’età, la densità delle fibre nervose sensoriali nell’osso non segue lo stesso trend, aumentando invece con l’avanzare degli anni. Questo aumento della densità dell’innervazione ossea con l’età è un elemento chiave da considerare nella gestione del dolore osseo.

Le fibre nervose simpatiche nell’osso hanno dimostrato di svolgere un ruolo cruciale nella regolazione della distruzione e della formazione ossea, oltre che nella vasodilatazione e nella vasocostrizione. Questa complessa rete di interazioni neurali influenza direttamente la fisiopatologia del dolore osseo, contribuendo alla manifestazione di malattie come l’artrite reumatoide e l’osteoporosi.

Studi recenti stanno esplorando il potenziale blocco farmacologico del sistema β-adrenergico, utilizzando β-bloccanti, per trattare l’osteoporosi post-menopausa. Tuttavia, la discussione sull’efficacia di tali trattamenti richiede ulteriori ricerche per confermare i benefici.

In seguito a lesioni scheletriche, le fibre nervose simpatiche possono modulare la funzione delle fibre nervose sensoriali, contribuendo alla complessità della sindrome dolorosa regionale complessa (CRPS).

Durante l’iperattività degli osteoclasti, canali ionici sensibili all’acido come TRPV1 e ASIC-3 vengono sovraespressi dai nocicettori, portando ad un aumento dell’attività neuronale e al conseguente dolore osseo. Questi meccanismi sono implicati nella progressione del dolore associato al cancro osseo e a malattie metaboliche come l’osteoporosi.

La sensibilizzazione centrale, un fenomeno che coinvolge l’aumento dell’eccitabilità neuronale nelle vie nocicettive centrali, è un altro aspetto cruciale da considerare nella gestione del dolore scheletrico cronico. Questo fenomeno comporta l’attivazione dei recettori NMDA e il rilascio di neuropeptidi come la sostanza P e il CGRP, contribuendo alla cronicizzazione del dolore.

La neuroplasticità del midollo spinale, che include cambiamenti nella funzione dei nocicettori e nell’attivazione gliale, gioca un ruolo significativo nella transizione dal dolore acuto a quello cronico.

In definitiva, comprendere i meccanismi neurali coinvolti nel dolore osseo è essenziale per sviluppare terapie mirate e efficaci per migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da questa condizione.

Gestione del dolore nelle fratture vertebrali

Il nostro studio evidenzia significative discrepanze di genere nella progressione del dolore e della qualità della vita successivamente alle fratture vertebrali sintomatiche (VF). In particolare, le donne tendono a sperimentare una traiettoria più negativa rispetto agli uomini.

L’analisi del dolore, utilizzando la Scala Visiva Analogica (VAS), e il punteggio Qualeffo-41 hanno rivelato variazioni distinte tra i generi, particolarmente evidenti due mesi dopo l’inizio del trattamento per le VF sintomatiche. Questo periodo ha mostrato un sollievo dal dolore più pronunciato e un miglioramento della qualità della vita nei maschi rispetto alle femmine, una tendenza osservata fino a sei mesi di follow-up.

Diversi studi hanno chiarito le variazioni di genere nello sviluppo del dolore cronico, con le donne che mostrano una maggiore suscettibilità, in particolare per quanto riguarda i disturbi muscolo-scheletrici. Questo fenomeno è attribuito non solo alla prevalenza di condizioni di dolore cronico, ma anche alla maggiore sensibilità al dolore acuto tra le donne. Analizzando i punteggi di dolore associati alla malattia tra i generi, le donne hanno costantemente mostrato punteggi di dolore medio più elevati in diverse patologie, tra cui malattie osteomuscolari e dolore lombare.

Le fratture vertebrali, comuni manifestazioni dell’osteoporosi, portano spesso a dolore cronico alla schiena e riduzione della qualità della vita. Sebbene i fattori che contribuiscono a queste complicazioni rimangano ancora parzialmente compresi, la ricerca suggerisce che la gravità della malattia ossea, inclusi il numero e la gravità delle deformità vertebrali, giocano un ruolo significativo nello sviluppo del dolore cronico.

Nello studio non abbiamo osservato differenze significative nella gravità della malattia tra i generi, come indicato dall’età simile, il conteggio delle fratture vertebrali di base e i punteggi della densità minerale ossea. Inoltre, entrambi i generi hanno ricevuto approcci terapeutici simili, escludendo le disparità di trattamento come causa principale delle differenze di evoluzione del dolore tra i generi.

Nonostante condizioni di base simili, sono emerse differenze nell’evoluzione del dolore e nel miglioramento della qualità della vita tra i generi, particolarmente evidenti dopo due mesi dall’inizio del trattamento. I maschi hanno mostrato un maggiore sollievo dal dolore e un miglioramento della qualità della vita rispetto alle femmine, una tendenza non attribuibile alla modalità di trattamento o all’incidenza di nuove fratture.

Inoltre, nonostante abbiano sperimentato un’evoluzione del dolore più pronunciata, le donne tendevano a consumare meno analgesici, probabilmente a causa degli effetti avversi osservati con i derivati degli oppioidi nelle donne.

Nel complesso, i nostri risultati sottolineano l’influenza del genere sulla suscettibilità al dolore e sull’efficacia del trattamento nelle fratture vertebrali sintomatiche, sottolineando la necessità di considerazioni specifiche di genere nella decisione terapeutica e nell’aderenza al trattamento. Ulteriori ricerche sono necessarie per convalidare questi risultati e delineare strategie terapeutiche ottimali adattate alle esigenze specifiche di genere.

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