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Esami del sangue per l’osteoporosi, i biomarker

Il futuro del trattamento dell’osteoporosi non è solo prevenire con i classici esami che ti prescrive il medico di base, ma ottimizzare il monitoraggio in ogni aspetto del processo di turnover osseo.

La scienza ha portato alla luce strumenti straordinari, come i biomarcatori di turnover osseo, che permettono di affrontare questa condizione clinica in modo più preciso e personalizzato.

In questo articolo, ti guiderò attraverso le strategie avanzate basate sui biomarcatori, per comprendere come massimizzare la salute delle tue ossa.

Esami del sangue per l’osteoporosi, i biomarker

Il turnover osseo: un equilibrio dinamico

Le ossa non sono strutture statiche, ma tessuti in continuo rinnovamento. 

Il processo di turnover osseo prevede due fasi principali:

  1. Formazione: guidata dagli osteoblasti, cellule che costruiscono nuovo tessuto osseo.
  2. Riassorbimento: condotto dagli osteoclasti, cellule che rimuovono il tessuto osseo vecchio.

In un corpo sano, questi due processi sono in equilibrio. 

Ma nell’osteoporosi, l’equilibrio si rompe: il riassorbimento prevale sulla formazione, portando a una progressiva perdita di densità ossea​.

Biomarcatori del turnover osseo: cosa sono e come funzionano?

I biomarcatori sono molecole prodotte durante i processi di formazione e riassorbimento osseo. 

Possono essere misurati nel sangue o nelle urine per fornire un quadro accurato dello stato di salute delle ossa.

Tipi di biomarcatori

  1. Marcatori di formazione
    • P1NP (N-terminal propeptide of type I collagen): un sottoprodotto della sintesi del collagene, fondamentale per la costruzione del tessuto osseo.
    • Osteocalcina: una proteina chiave nella mineralizzazione delle ossa.
    • Fosfatasi alcalina (ALP): un enzima che facilita la mineralizzazione ossea.
  2. Marcatori di riassorbimento
    • CTX (C-terminal telopeptide of type I collagen): prodotto dalla degradazione del collagene osseo, è il più affidabile per misurare l’attività degli osteoclasti.
    • TRAP5b (tartrate-resistant acid phosphatase isoform 5b): un enzima rilasciato durante il riassorbimento osseo, utile in casi di disfunzioni renali.

Questi biomarcatori non solo indicano se il turnover osseo è alterato, ma possono anche guidare il trattamento e monitorare i suoi effetti​.

Perché i biomarcatori sono importanti nel trattamento dell’osteoporosi?

  1. Previsione del rischio di frattura
    Un aumento dei marcatori di riassorbimento, come CTX, è correlato a una maggiore probabilità di fratture osteoporotiche. Conoscere questi livelli può aiutare a prevenire eventi traumatici.
  2. Monitoraggio dell’efficacia del trattamento
  • I farmaci anti-riassorbimento, come i bisfosfonati, mirano a ridurre l’attività degli osteoclasti. Se i livelli di CTX non diminuiscono durante il trattamento, potrebbe essere necessario aggiustare la terapia.
  • Denosumab per esempio, un anticorpo monoclonale, ha dimostrato di abbassare i livelli di CTX del 30% in sole 22 settimane, riducendo significativamente il rischio di fratture​.
  1. Personalizzazione delle cure

Grazie ai biomarcatori, è possibile adattare il trattamento alle esigenze specifiche di ogni paziente, ottimizzando i risultati e riducendo gli effetti collaterali.

Strategie avanzate per il trattamento basato sui biomarcatori

La conoscenza dei biomarcatori permette di adottare strategie più avanzate e mirate per il monitoraggio della cura. Esistono fondamentalmente due categorie che permettono la regressione dell’osteoporosi. Quali sono?

  1. Antiriassorbitivi (es. bisfosfonati, denosumab):
    • misurare i livelli di CTX per valutare l’efficacia del farmaco nel rallentare il riassorbimento osseo.
    • Per esempio, una riduzione >30% del CTX entro 3-6 mesi indica un buon controllo del turnover osseo.
  2. Anabolici (es. teriparatide):
    • monitorare i marcatori di formazione (es. P1NP) per verificare un aumento significativo della rigenerazione ossea.

Valutazione dei micronutrienti: ottimizzare l’apporto per ossa più forti

Il ruolo chiave di calcio, vitamina D e vitamina K2

L’integrazione di calcio, vitamina D e vitamina K2 è una strategia fondamentale per sostenere la mineralizzazione ossea e migliorare la funzione degli osteoblasti. Non sempre però il calcio, per esempio, è necessario. Valutare con il nostro medico specialista dell’osteoporosi il protocollo d’integrazione è troppo importante. Ogni elemento gioca un ruolo specifico e sinergico. Vediamo la funzione di questi minerali:

  • calcio: essenziale per la formazione della matrice ossea. Un apporto inadeguato può ridurre la densità ossea, mentre un eccesso senza un’adeguata regolazione (es. vitamina K2) può portare alla calcificazione dei tessuti molli.
    • Fonti alimentari: latticini, verdure a foglia verde, mandorle.
    • Dose giornaliera raccomandata: 1000-1200 mg per gli adulti, regolata in base all’età e al sesso.
  • Vitamina D: favorisce l’assorbimento intestinale del calcio e ne migliora la biodisponibilità. Livelli subottimali sono associati a un aumento del rischio di fratture.
    • Fonti alimentari: pesce grasso, uova, fegato. L’esposizione al sole è una fonte primaria.
    • Livello ottimale tra 600-4000 unità al giorno, dipende poi dai valori di partenza. A questi ci si può arrivare con un integrazione profilata e individuale.
  • Vitamina K2: attiva l’osteocalcina, una proteina prodotta dagli osteoblasti, che lega il calcio nella matrice ossea, migliorandone la qualità e prevenendo la deposizione calcifica nelle arterie.
    • Fonti alimentari: natto (soia fermentata), formaggi stagionati, carne di organi.
    • Dose consigliata: 90-120 mcg al giorno, con variazioni individuali.

Testare i livelli ematici per monitorare l’efficacia dell’integrazione. Valori elevati indicano una buona attività osteoblastica, ma necessitano di un’adeguata attivazione tramite vitamina K2.

C. Esercizio fisico mirato

L’esercizio non solo rafforza le ossa, ma può influenzare positivamente i biomarcatori.

  • Esercizi di carico progressivo e graduale:
    • aumentano i marcatori di formazione (es. P1NP) grazie alla stimolazione degli osteoblasti e riducono livelli di CTX, diminuendo il riassorbimento osseo.

Conclusioni dello studio

Lo studio evidenzia che i biomarcatori di turnover osseo rappresentano strumenti essenziali per il monitoraggio e il trattamento dell’osteoporosi. Questi indicatori biologici offrono un quadro chiaro e in tempo reale dell’equilibrio tra formazione e riassorbimento osseo, aiutando non solo a identificare il rischio di fratture, ma anche a valutare l’efficacia dei trattamenti in corso.


L’uso combinato di marcatori di formazione (es. P1NP, osteocalcina) e marcatori di riassorbimento (es. CTX, TRAP5b) consente di prevedere con maggiore precisione il rischio di fratture osteoporotiche. Ciò permette interventi più tempestivi ed efficaci.

Può guidare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti più personalizzati, minimizzando gli effetti collaterali e ottimizzando i benefici clinici.

Gli autori sottolineano che la variabilità dei biomarcatori (dovuta a fattori come dieta, ritmo circadiano e condizioni cliniche) rimane una sfida tuttora aperta con la scienza.  

I biomarcatori possono diventare strumenti di routine per personalizzare i trattamenti e migliorare i risultati nei pazienti con osteoporosi.

Inoltre, il loro utilizzo può essere esteso ad altre malattie legate al metabolismo osseo, come il cancro metastatico o le patologie infiammatorie.

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Fonti scientifiche

The Treatment and Monitoring of Osteoporosis using Bone Turnover Markers

Per approfondire il mondo dei biomarcatori ossei

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK559306

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