Osteoporosi: 10 farmaci che danneggiano le ossa e come difenderti davvero
In questo articolo troverai:
Lo sai che ci sono farmaci comunemente prescritti che, pur essendo utili per altre patologie, hanno un impatto drammatico sulla salute dell’osso?
E spesso… te li ritrovi nella borsa dei farmaci senza che nessuno ti abbia mai spiegato davvero i rischi.
Nel mondo clinico, spesso si prescrive un farmaco per risolvere un problema urgente — infiammazione, depressione, trombosi — senza valutare la “contropartita ossea”.
Ma l’osso non è un muro inerte: è un tessuto vivo, in costante rimodellamento. Quando un farmaco interferisce con gli equilibri tra osteoclasti (demolitori) e osteoblasti (costruttori), può accelerare la fragilità ossea.
In questo articolo esploriamo tre gruppi di farmaci con forte impatto negativo sull’osso e come affrontare il problema in un percorso integrato.
Categoria 1: Glucocorticoidi (corticosteroidi) e ossa
1. Meccanismi d’azione dannosi
I glucocorticoidi (es. prednisone, metilprednisolone) sono tra i medicinali più “nemici” dell’osso. Ecco come operano:
Inibizione dell’attività osteoblastica: riducono la formazione di nuovo osso
Aumento del riassorbimento osseo: stimolano attività osteoclastica
Riduzione dell’assorbimento intestinale di calcio, e aumento della perdita renale
Azione catabolica sui muscoli, riducendo il carico meccanico sull’osso
Alterazione dell’asse ormonale (es. modulazione del PTH)
Eccessi endogeni o terapeutici anche moderati sono dannosi.
Uno studio meta‐analitico ha dimostrato che l’uso cronico di corticosteroidi > 5 mg di prednisolone (o equivalente) porta a una riduzione significativa della densità ossea. SpringerLink
Per le forme inalatorie (ICS), gli effetti sono più moderati, ma in donne in post-menopausa possono essere evidenti: uno studio finlandese ha mostrato riduzione della densità ossea nelle donne post-menopausa che usavano ICS a lungo termine.
Esercizio meccanico ben dosato: carico progressivo e allenamento di forza
Monitoraggio con MOC e marker di turnover ogni 6‑12 mesi
Categoria 2: antidepressivi SSRI e impatto osseo
1. Meccanismi sospetti
Gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) sono spesso usati per depressione, ansia, disturbi menopausali. Eppure:
Le cellule ossee (osteoclasti/osteoblasti) esprimono trasportatori della serotonina
L’uso SSRI può alterare il segnale della serotonina nell’osso, inibendo la formazione ossea
Alcuni SSRI possono aumentare il rischio di cadute (per effetto su equilibrio, stato mentale)
Secondariamente, il farmaco può influenzare l’asse cortisolo-serotonina, peggiorando l’impatto osseo
Nei dati clinici, l’uso cronico di SSRI è correlato a riduzione del BMD e aumento del rischio fratturativo.
Una revisione di 19 studi ha rilevato che l’uso di SSRI è associato a diminuzione della densità ossea e aumento delle fratture. PMC
2. Esempi & usi clinici
Fluoxetina, Sertralina, Citalopram, Paroxetina, Escitalopram Usati per depressione, ansia generalizzata, disturbi del sonno/umore
3. Come mitigare i rischi ossei
Valutazione del rischio osseo prima di iniziare terapia a lungo termine
Monitor MOC / TBS periodico
Attività fisica con carico, propriocezione e prevenzione cadute
Supporto nutrizionale: proteine adeguate, calcio, vitamina D
Esplorare antidepressivi con minor impatto osseo nei pazienti fragili
Categoria 3: Inibitori della pompa protonica (IPP) e danni collaterali
1. Meccanismi d’azione che danneggiano l’osso
Gli IPP (es. omeprazolo, pantoprazolo) ampiamente prescritti per reflusso, ulcera gastrica, protezione da FANS, possono:
Ridurre l’acidità gastrica → compromissione dell’assorbimento del calcio
Alterare il microbiota intestinale → impatti sul metabolismo osseo
Influenzare l’assorbimento di altri minerali (magnesio, zinco), cofattori dell’osso
Studi di coorte e meta-analisi hanno mostrato un’associazione tra uso cronico di IPP e maggior rischio di fratture vertebrali/femorali.
Un’analisi longitudinale in donne anziane indica un aumento del rischio di fratture nei consumatori prolungati di IPP.
2. Esempi e contesti
Omeprazolo (Antra®), Pantoprazolo, Esomeprazolo, Lansoprazolo Spesso usati come terapia di lungo termine, anche dove non necessari
3. Strategie protettive
Limitare la durata d’uso ai casi strettamente necessari
Valutare alternative non farmacologiche al reflusso (dieta, stile di vita)
Usare calcio citrato (meno dipendente dal pH acido per l’assorbimento)
Monitorare la densità ossea in uso cronico (> 1 anno)
Categoria 4: anticonvulsivanti (Farmaci antiepilettici) e salute ossea
Meccanismi biologici / biochimici
Gli anticonvulsivanti possono compromettere l’osso tramite vari meccanismi:
Induzione enzimatiche epatiche: molti anticonvulsivanti (es. fenitoina, carbamazepina, fenobarbital) inducono enzimi del citocromo P450. Questo accelera il catabolismo della vitamina D (25‑OH D → metaboliti inattivi), riducendo la disponibilità della forma attiva che stimola l’assorbimento intestinale di calcio.
Ipocalcemia secondaria / stimolo PTH: con meno vitamina D attiva, il corpo può aumentare la secrezione di PTH per mantenere la calcemia, il che stimola l’osteoclasto e la perdita ossea.
Alterazione del turnover osseo: si è osservato un aumento del catabolismo osseo (marker di riassorbimento) e una riduzione della formazione ossea.
Diminuzione del volume della trabecola ossea e riduzione della densità minerale, specialmente in osso spugnoso (colonna vertebrale).
Effetti indiretti: gli anticonvulsivanti possono causare atassia, vertigini, rischio di caduta, che aumenta il rischio fratturativo indipendentemente dalla densità ossea.
Evidenza scientifica
Uno studio su adulti e bambini trattati con farmaci antiepilettici a lungo termine ha mostrato una diminuzione della densità ossea e del volume trabecolare, con un aumento del rischio frattura. (Pereira VA et al.) SciELO
Un’analisi storica (documentata da fonti chiaramente consolidate) segnala che barbiturici e altri anticonvulsivanti esercitano effetto negativo sul tessuto osseo, conducendo a osteopenia e osteoporosi. tede2.pucrs.br
Esempi concreti e contesto clinico
Fenitoina, Fenobarbital, Carbamazepina, Valproato sono fra i più studiati in questo campo.
In alcune donne in post-menopausa che usano questi farmaci, l’effetto negativo si somma al deficit estrogenico.
Strategie per mitigare il danno osseo
Monitoraggio preventivo: MOC + marker di turnover osseo (CTX, P1NP) prima dell’inizio e durante la terapia.
Supplementazione mirata: vitamina D (forma attiva se necessario), calcio, magnesio.
Approccio anabolico / protettivo: inserire protocolli di esercizio con carico e stimolo meccanico per contrastare la perdita ossea.
Revisione farmacologica: se possibile, valutare alternative con minore impatto osseo o regimi con dosi ridotte.
Controllo delle cadute: equilibrio, forza, fisioterapia per evitare che il danno osseo residuo venga “catturato” da un trauma leggero.
Categoria 5: eparine e anticoagulanti
Meccanismi di danno all’osso
Le eparine (in particolare eparina non frazionata e a basso peso molecolare) possono influenzare l’osso attraverso:
Inibizione della funzione osteoblastica: interferiscono con la differenziazione degli osteoblasti, riducendo la capacità di formazione ossea.
Stimolo degli osteoclasti: aumentano l’attività di riassorbimento osseo.
Riduzione della mineralizzazione: l’effetto combinato sopra porta a nuove ossa deboli o meno mineralizzate.
Effetto cumulativo con uso prolungato: gli studi riportano che uso ≥ 24 mesi è associato a riduzione del BMD.
Una segnalazione di farmacovigilanza indica che circa un terzo dei pazienti che assumono eparina non frazionata possono avere una riduzione significativa della densità ossea.
Esempi e contesto di utilizzo
Eparina non frazionata (UFH)
Eparine a basso peso molecolare (es. enoxaparina, dalteparina)
Usate per profilassi tromboembolica, trattamenti post-chirurgici, stati di ipercoagulabilità.
Strategie di protezione ossea
Limitare la durata d’uso se possibile, usare solo per il tempo strettamente necessario
Valutazione preventiva ossea se prevista terapia prolungata
Supporto metabolico: integrazione con Ca + D + vitamina K2
Approccio terapeutico alternativo: valutare anticoagulanti orali diretti (DOAC), se appropriati e se compatibili con il profilo del paziente
Monitoraggio con MOC annuale in chi consuma eparina per tempo prolungato
Categoria 6: diuretici dell’ansa
I diuretici dell’ansa (es. furosemide, torasemide) agiscono su un segmento renale (ansa di Henle) riducendo il riassorbimento di sodio, cloro ed acqua, ma inducono anche:
Aumento dell’escrezione urinaria di calcio: riducono le riserve di calcio corporee
Stimolo compensatorio del PTH: per mantenere calcemia, si può attivare il riassorbimento osseo
Effetti indiretti: possono causare ipovolemia, alterazioni elettrolitiche, che indeboliscono il tessuto osseo in condizioni limite
Un documento didattico universitario elenca che i diuretici dell’ansa “possono determinare ipocalcemia per maggiore escrezione di calcio a livello dell’ansa di Henle, con potenziale effetto osteopenizzante.” Università degli studi di Ferrara
Una revisione italiana segnala che i diuretici dell’ansa sono associati ad aumentato rischio di fratture, probabilmente per perdita ossea + effetto caduta.
Esempi e contesto d’uso
Furosemide, Torasemide (es. Torasemide è spesso usato per insufficienza cardiaca e edema)
Utilizzati in condizioni cardiache, insufficienza renale, edema polmonare
Strategie preventive
Uso moderato e solo se necessario
Monitoraggio del calcio e del PTH
Supplementazione di calcio & vitamina D
Allenamento osseo attivo per contrastare la perdita
Ricontrolli radiologici / MOC a intervalli regolari in pazienti che assumono diuretici dell’ansa a lungo termine
Categoria 7: warfarin (antagonista della vitamina K)
Meccanismi di danno osseo
Inibizione della γ‑carbossilazione delle proteine dipendenti dalla vitamina K, come l’osteocalcina (OC) e la matrix Gla‑protein (MGP). Queste proteine, quando carboxilate, contribuiscono alla mineralizzazione ossea: con warfarin restano “non attive”
Aumento del turnover osseo: studi mostrano che con l’uso prolungato di warfarin c’è un’attività maggiore di rimodellamento (“remodelling cycles”) con prevalenza della fase di riassorbimento.
Riduzione della densità: molti studi clinici e coorti mostrano associazione tra uso prolungato di warfarin e aumento del rischio di fratture ossee rispetto a non utilizzo o uso di anticoagulanti orali diretti.
Evidenze cliniche
Una metanalisi ha evidenziato che l’uso prolungato di warfarin è associato a rischio aumentato di fratture, rispetto all’uso di DOAC.
Uno studio in pazienti con fibrillazione atriale ha rilevato che warfarin è correlato a riduzione della densità ossea e biomarcatori di riassorbimento osseo elevati.
Altri studi mostrano che warfarin è associato con livelli più alti di ucOC, RANKL e infiammazione vascolare che possono contribuire a osteoporosi e calcificazione vascolare.
Quando non si può evitare & mitigazione
Quando un paziente deve assolutamente assumere warfarin (es. valvole meccaniche, certe condizioni tromboemboliche), servono strategie compensatorie:
Considerare la sostituzione con DOAC (se compatibile), poiché questi sembrano avere minor impatto osseo rispetto a warfarin. ([turn0search16]CardioSmart+1)
Integrare vitamina K2 (all’interno del controllo medico) per favorire la γ‑carbossilazione delle proteine ossee
Monitorare densità ossea regolarmente
Rinforzare l’allenamento osseo, l’apporto di calcio e vitamina D, e adottare strategie anti-infiammazione
Categoria 8: Chemioterapia e terapie oncologiche
Meccanismi di danno osseo
Senescenza cellulare indotta: chemioterapia e radiazioni possono causare che le cellule ossee entrino in uno stato di senescenza, rilasciando segnali (SASP) che stimolano gli osteoclasti e sopprimono gli osteoblasti.
Danneggiamento diretto del tessuto osseo: tossicità sui precursori ossei, su cellule del midollo osseo, sulla vascolarizzazione ossea
Effetto combinato con terapia ormonale: ad esempio nel cancro al seno, la chemioterapia spesso precede o accompagna l’uso di inibitori dell’aromatasi, amplificando il danno osseo.
Accelerazione della perdita ossea in pazienti con tumori ematologici: ad esempio nei linfomi, terapie chemioterapiche combinate con steroidi inducono perdita ossea significativa rispetto ai controlli.
Evidenze cliniche
Uno studio prospettico in donne in post-menopausa con chemioterapia ha mostrato peggioramento della densità ossea rispetto alla baseline.
Studi su sopravvissuti al linfoma documentano che la terapia antitumorale è fortemente associata all’osteopenia/osteoporosi a distanza.
Strategie di protezione
Includere terapia ossea preventiva nei protocolli oncologici, quando possibile (es. bisfosfonati protettivi)
Monitoraggi precoci: basale e durante il trattamento
Interventi di forza e carico osseo controllato durante e dopo il trattamento
Strategie anti-senescenza sperimentali nei protocolli futuri (modulazione p38/MK2) sono già in studio.
Categoria 9: la tiroxina in eccesso o terapia soppressiva tiroidea (levotiroxina)
Meccanismi di danno osseo
Un eccesso di ormone tiroideo (ipertiroidismo) aumenta il turnover osseo, con prevalenza di riassorbimento rispetto alla formazione
Anche in soggetti con TSH “normale”, terapie con levotiroxina eccessiva possono spingere verso un effetto tiroideo subclinico da eccesso, peggiorando l’osso
Gli ormoni tiroidei stimolano gli osteoclasti indirettamente, riducendo densità minerale
In post-menopausa, questo effetto è ancora più rilevante
Evidenze cliniche
Terapie tiroidee soppressive (es. post-cancro tiroideo) sono state associate a perdita ossea accelerata e aumento fratture, soprattutto vertebrali.
Studi recenti mostrano un’associazione tra uso cronico di levotiroxina e perdita ossea anche in individui con funzione tiroidea apparentemente normale.
Organizzazioni specialistiche raccomandano monitoraggio osseo nei pazienti con terapia tiroidea soppressiva cronica.
Strategie di mitigazione
Mantenere TSH nei range target, evitare sovradosaggi
Monitoraggio osseo regolare in chi richiede dosaggi elevati
Integrare nutrizione ossea e attività fisica meccanica
Discussione con endocrinologo per minimizzare l’effetto soppressivo quando non strettamente necessario
Categoria 10: farmaci oncologici a bersaglio molecolare
Perché vengono usati
Questi farmaci sono usati per colpire selettivamente alcune proteine coinvolte nella proliferazione tumorale. Hanno reso molte forme di cancro (come seno, rene, polmone, melanoma) più trattabili, anche in fase avanzata. Tra i più noti:
Anticorpi anti-HER2 come trastuzumab, pertuzumab (carcinoma mammario HER2+)
Inibitori CDK4/6 come palbociclib, ribociclib (carcinoma mammario HR+)
Inibitori del VEGF (bevacizumab)
Come agiscono sulle ossa
Queste terapie non sono “classicamente” osteotossiche, ma diversi studi hanno rivelato effetti negativi indiretti o a lungo termine sul tessuto osseo. Ecco i principali meccanismi fisiopatologici:
Molti dei target di questi farmaci (es. VEGF, HER2, tirosin-chinasi, CDK) sono presenti anche nel tessuto osseo e nel midollo osseo. La loro inibizione può quindi alterare:
La funzione degli osteoblasti (formazione ossea)
Il microambiente vascolare osseo (capillari ossei essenziali per il rimodellamento)
La sopravvivenza dei precursori ossei
Ad esempio:
Dasatinib (TKI) inibisce precursori osteocitari, riducendo la formazione ossea
Bevacizumab riduce l’angiogenesi, anche ossea, rallentando il turn-over e la guarigione
Inibitori CDK4/6 influenzano la proliferazione di cellule stromali del midollo
Molte terapie oncologiche ormonosoppressive inducono un calo degli estrogeni, sia in modo diretto (tamoxifene, letrozolo, anastrozolo), sia indiretto (menopausa indotta). Questo comporta:
Aumento del riassorbimento osseo
Riduzione dell’attività osteoblastica
Incremento del rischio di osteoporosi precoce, soprattutto in donne giovani
Uno studio su donne trattate con inibitori dell’aromatasi ha mostrato una riduzione significativa della densità ossea a livello lombare e femorale entro 12 mesi.
Alcune targeted therapy alterano la funzione immunitaria o generano infiammazione sistemica cronica, che:
Aumenta le citochine pro-osteoclastiche (es. TNF-α, IL-6)
Riduce la produzione di fattori anabolici per l’osso
Influenza negativamente il turnover osseo
Uno studio condotto su pazienti in terapia con TKI per leucemia ha mostrato marcatori di turnover osseo (CTX, P1NP) significativamente alterati e densità ossea ridotta nel 38% dei pazienti dopo 1 anno. Inibitori HER2 e CDK4/6, se associati ad altri farmaci ormonali, aumentano il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali, soprattutto nei primi 2 anni di trattamento.
Cosa fare per proteggere l’osso
Se si sta affrontando una terapia oncologica mirata, non è possibile evitarla. Ma si possono prendere misure preventive concrete:
1. Screening precoce e regolare
MOC DEXA + TBS alla diagnosi e poi ogni 6-12 mesi
Analisi CTX, P1NP, vitamina D, calcio, PTH
2. Terapia ossea preventiva
Bisfosfonati o denosumab in donne con rischio aumentato
Integrazione personalizzata con vitamina D, calcio, vitamina K2, magnesio
3. Allenamento strutturato
Percorsi di esercizio ad alto impatto controllato: non solo camminate
Allenamento con carichi progressivi, sotto guida specializzata
Focus su forza + mobilità + propriocezione
4. Alimentazione anti-infiammatoria
Dieta ricca di omega-3, polifenoli, flavonoidi
Riduzione di zuccheri raffinati e cibi pro-infiammatori
Attenzione a fibre e microbiota (molti pazienti oncologici sviluppano disbiosi)
Come prevenire l’osteoporosi da farmaci: l’approccio Medical Fitness 40+
Se stai assumendo uno o più farmaci noti per indebolire lo scheletro, la prevenzione non può essere un intervento di superficie. Non basta assumere “un po’ di calcio” o “fare due passi in più”. Serve un approccio sistemico, personalizzato e scientifico. Serve un percorso.
L’osteoporosi farmacologica non dà sintomi… finché non compaiono dolori cronici, fratture vertebrali, o peggio, una frattura del femore.
Ecco perché il momento giusto per intervenire è ora, non dopo l’evento traumatico.
Nel nostro percorso non ci limitiamo a “monitorare la MOC”, ma agiamo sulle vere leve di rigenerazione ossea, combinando:
1. analisi ossea avanzata: oltre la MOC
TBS (Trabecular Bone Score): misura la qualità della microarchitettura ossea
CTX e P1NP e altri: marcatori del turnover osseo per valutare se il farmaco sta accelerando la perdita
Esami ormonali, infiammatori, metabolici: per vedere cosa davvero “sta sabotando” il tuo osso
Valutazione del microbiota (se necessario): perché molti farmaci causano disbiosi che impatta l’assorbimento dei nutrienti chiave
2. Allenamento osteogenico specifico (non il solito “muoviti”)
La scienza è chiara: solo gli esercizi con carico progressivo e impatto controllato stimolano la formazione ossea. Per questo, il nostro protocollo comprende:
Carichi progressivi anche in soggetti fragili, con supervisione
Esercizi mirati a stimolare le zone a maggior rischio (colonna, anca, femore)
Allenamento propriocettivo per ridurre il rischio di cadute
Lavoro su elasticità e mobilità articolare, che protegge dall’usura e migliora il carico distribuito sull’osso
No a esercizi “a caso”, no a corsette nel parco, no a lezioni generaliste Sì a un programma calibrato sulle tue analisi, età, comorbidità e farmaci
3. Integrazione biochimica mirata (non un multivitaminico qualsiasi)
Ogni farmaco ha un suo modo specifico di disturbare l’osso. Noi rispondiamo con:
Vitamina K2 MK-7: dirige il calcio verso le ossa, non verso arterie e reni
Magnesio (chelato): cofattore fondamentale per l’attività della vitamina D
Tocotrienoli (forma evoluta della vitamina E): riducono l’infiammazione cronica legata al riassorbimento osseo
Geranilgeraniolo (GG): supporta la funzione mitocondriale e stimola la formazione di K2 endogena
Collagene idrolizzato + vitamina C + zinco + rame: per sostenere la matrice ossea organica
Inositolo + vitamina D3 attiva (calcitriolo) nei casi con PTH alto
Tutto è dosato in base al tuo quadro clinico, non affidato al caso o alla moda del momento.
4. Nutrizione funzionale e anti-infiammatoria
Non esiste osso sano in un corpo infiammato.
La nostra biologa nutrizionista specializzata lavora su:
Diete antinfiammatorie ad alta densità nutrizionale
Correzione delle carenze (B12, ferro, calcio, D) con cibi funzionali, non solo supplementi
Supporto a vegane e vegetariane che assumono farmaci ormonali o oncologici
Protocollo alimentare anti-disbiosi da antibiotici, IPP o immunosoppressori
5. Educazione, consapevolezza e supporto psicologico
Non trascuriamo la parte emotiva del percorso:
Paura di fratturarsi
Scoraggiamento per la diagnosi
Sfiduccia nella medicina convenzionale
Attraverso le nostre sessioni educative, call periodiche, materiali formativi e community, trasformiamo la confusione in consapevolezza operativa.
Sapere perché fai un esercizio, perché prendi un integratore, perché stai evitando certi cibi… ti ridà controllo. E il controllo è la prima forma di guarigione.
Il risultato? Osso che risponde. Corpo che cambia. Vita che riparte.
Nel nostro percorso abbiamo visto:
MOC migliorare dopo anni di stallo
T-score risalire senza farmaci pesanti
Fratture che non si ripresentano
Donne che tornano a salire le scale, viaggiare, giocare coi nipoti
Questo non accade per caso. Accade per metodo.
Vuoi capire come funziona questo percorso?
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Personalizzare è meglio che generalizzare. Se assumi farmaci che possono indebolire le tue ossa, non aspettare la frattura. Inizia oggi il tuo percorso di protezione, ricostruzione e forza. Con metodo. Con scienza. Con noi.